Intervistiamo questa settimana il giovane cantautore indipendente Ricky Pera, in occasione dell’uscita del suo disco, “4 Passi”, un album camaleontico, come ci racconta lo stesso Ricky.
Iniziamo con le domande di Simona Ingrassia
Se uno volesse approcciarsi al tuo disco, come lo descriveresti? E’ un concept, ha diversi argomenti…
Non è un concept, lo definirei più che altro un mosaico “aedico” un po’ stralunato. Ho raccolto dieci canzoni scritte da dieci Ricky Pera diversi, uno per ogni periodo, gusto musicale e stato d’animo che ho vissuto e che mi ha spinto a scriverle e comporle…e ne ho fatto un album. In parole povere, ho passato alcuni anni ad ascoltare musica di ogni genere, che mi ha ispirato diversi gradi di creatività e varie canzoni che ho scritto. Un giorno mi sono svegliato, le ho guardate da lontano, come se fossero state scritte da altri, e ho pensato: “Però! Sai che figata raccoglierle tutte in un album?”
Immagino che da artista tu avrai qualche punto di riferimento oppure un tipo di musica a cui ti sei ispirato, anche inconsapevolmente. Quali sono, se ci sono ovviamente.
Come ho detto prima, ho ascoltato davvero molte cose, anche molto diverse fra loro….e scegliere chi o che cosa mi abbia influenzato in questo o quel brano è davvero dura. Certo è che mi ritengo un soggetto artisticamente lunatico e che , come si suol dire, vado a periodi: magari passo un mese ad ascoltare Guccini e il mese dopo mi ritrovo impallato con i Megadeth. E credo che questa fruizione camaleontica si senta moltissimo nel mio disco. In realtà, comunque, come tutti, ho alcuni tasselli nel mio cuore musicale di cui proprio non posso fare a meno: gli Oasis, De André, De Gregori, Battiato, i Coldplay, gli 883, Bruce Springsteen, Elvis. E cento altri.
Come nasce la tua passione per la musica e quando hai capito che ti sarebbe piaciuto creare qualcosa di tuo?
Ho sempre avuto una buona capacità di scrivere in prosa. Ho sempre cantato bene. Unendo queste due qualità, verrebbe da dire che sono un cantautore nato. E invece no, ho passato anni a invidiare chi scrive canzoni, perché ogni volta che ci provavo io veniva fuori una merda colossale (si può dire colossale? 🤐) Fino a quando un giorno, mica troppi anni fa, mi comprai una chitarra. Imparai alla bell’e meglio a suonarla (male) e da quel momento si instaurò una tale chimica fra me e lo strumento che mi sbloccai davvero. Venne fuori una canzone. Mi piacque. Poi un’altra, poi un’altra ancora. E niente, oggi mi sento disinvolto nello scrivere una canzone si può dire che lo stereotipo del songwriter che non esiste senza la sua chitarra….è sacrosanto.
Ho avuto modo di vedere il tuo ultimo video,”La spiaggia segreta” per cui ti faccio i complimenti. Ho anche potuto notare la ricercatezza del testo del pezzo. Quanto sono importanti i testi nei tuoi dischi e, soprattutto, cosa viene prima la musica o i testi?
Grazie, davvero. Beh, come ho detto prima, non saprei scrivere senza imbracciare la chitarra. Qualcosa ho scritto anche suonando il piano, comunque insomma…il succo è che la musica è il colore, il testo è il pennello. Ma naturalmente non vorrei che sembrasse che non dia importanza al testo. Il colore è nulla senza forma. Forma e colore, generano un contenuto. Quello che cerco di dire è che sí, sono molto attento al testo e indubbiamente sono più bravo a scrivere parole che a suonare. Ma senza la musica, quei testi non sarebbero mai nati.
Domande di Tatiana:
“4 passi” – Il tuo album è composto da dieci canzoni, qual è la tua preferita? Qual è stata la più difficile da comporre?
Mi riesce davvero difficile scegliere. Tutte hanno un significato particolare per me, ognuna mi evoca un ricordo, ciascuna è nata da un bisogno e da un’onda emotiva e creativa diverse. Le amo tutte, indistintamente. Se proprio devo scegliere, dico solo che forse “Fuori onda” è il brano di cui sono artisticamente più soddisfatto. Quanto alle difficoltà nel comporre, confesso che non ne ho mai incontrate. Le due canzoni più impegnative sono state “Una notte al Bristol” e “Un tram che si chiama deriva”. Sono i due brani forse più “cantautorali” e la sfida è stata vestirli con un arrangiamento coerente rispetto al resto del lavoro ma al tempo stesso non snaturarli rispetto alla loro genesi.
Cosa ne pensi del mercato musicale del momento e in quale genere ti identifichi o ti collocheresti?
Fa schifo. Per il semplice fatto che di norma è il mercato che dovrebbe farti campare, mentre oggi sei tu che fai campare il mercato. E a carissimo prezzo. Io mi ritengo un cantautore indipendente, ma nel senso vero del termine. Della serie che me le scrivo, me le suono, me le canto, me le pago, me le sponsorizzo e me le distribuisco da solo. Tutto per un pugno di visualizzazioni o di ascolti non retribuiti sul web. E tutto questo ha un costo in termini economici e puoi già ritenerti fortunato se puoi permetterti di inseguire una passione costosa.
Insomma, come diceva Ligabue….non è tempo per noi.
CD o supporto digitale? Quale preferisci e con quale ti piacerebbe far arrivare le tue canzoni al pubblico.
Come credo ormai tutti, da fruitore utilizzo il supporto digitale. Comodo, pratico e ormai di livello qualitativo superiore al cd. Certo è che vedere stampato il proprio disco, per un cantante, è come sfogliare le pagine del proprio libro, per uno scrittore.
Domande di Vera/Valentina Spreafico
Se dovessi utilizzare tre aggettivi per descrivere la tua musica, quali sarebbero?
Camaleontica, colorata, figa.
Abbiamo ascoltato il tuo ultimo brano “La spiaggia segreta”, quanto ti rappresenta questa canzone? O quale delle tue canzoni ti rappresenta meglio?
Mi rappresenta, come tutti i miei brani, anche quelli più impersonali e apparentemente distaccati. Certamente questa è una canzone più intima. Fra tutti i brani di questo album, forse la canzone che più mi rappresenta è “Fuori onda”, dato che combatto tutti i giorni contro i mulini a vento del pensiero acritico. E la canzone parla proprio di questo.
La canzone che avresti voluto scrivere?
Posso dirti quelle che non avrei voluto scrivere? Perché forse faccio prima. Scherzi a parte, è veramente difficile. Concedimene almeno cinque: “Bohemian rapsody” dei Queen, “Don’t look back in anger” degli Oasis, “Il testamento di Tito” di De André, Hallelujah” di Cohen, “Cercando un altro Egitto” di De Gregori.
Solitamente dove prendi ispirazione per le tue canzoni? Dalle esperienze vissute, dai libri, dal mondo del cinema…
Indubbiamente dal vissuto. Mio e degli altri. Sempre filtrato con gli occhi miei. E dal vissuto degli altri, filtrato con gli occhi artificiali degli altri e guardato con gli occhi miei, cioè dal cinema. Sono uno stracinefilo. A livelli maniacali. Si intuisce?
Quale messaggio vorresti che arrivasse alle persone che ascoltano le tue canzoni?
Non sono mai stato troppo fan dei messaggi nelle canzoni. Cioè non sto dicendo che le canzoni debbano non significare nulla. Ma neppure che nello scriverle voglia che arrivi un messaggio forte e chiaro, anche laddove in verità vi fosse. Se devo essere onesto, sono abbastanza sadico in questo: mi piace scrivere cose che agli altri e soprattutto a me, magari dopo anni, conducano a significati diversi e tutti convincenti. Ecco, sí. Mi piace che le mie canzoni stimolino la mente.
Con quale artista ti piacerebbe collaborare?
Escludendo per ovvie ragioni i miei miti, fra i contemporanei mi piacerebbe molto collaborare con Calcutta, Coez, Ex Otago, Francesca Michielin.
Puoi svelarci i tuoi progetti futuri? Cosa bolle in pentola?
I progetti futuri sono sempre legati al fatto che io sono la casa produttrice e l’etichetta discografica di me stesso. Quindi, so che smonto il fascino della risposta, ma io avrei già un album e pure il progetto di un terzo disco (mi piacerebbe molto un concept). Il problema è continuare ad auto finanziarseli.
Dove ti vedi tra 10 anni?
Sicuramente a far qualcosa di importante, di unico e di grande. Per citare uno di Bologna.
Nel tuo percorso artistico, quali difficoltà hai incontrato? La famiglia e gli amici ti hanno sempre appoggiato nelle tue scelte?
Per la verità sono state pochissime le persone che mi abbiano appoggiato in modo disinteressato a questo mio progetto. Certamente la mia fidanzata e pochissimi miei amici. Fa parte della vita, uno dei miei miti è Paperone che, pur dentro tutte le sue contraddizioni, è un papero tosto abituato a farsi da solo, che ha lottato contro mille avversità anche quando tutto gli suggeriva che era meglio lasciar perdere. L’unica differenza è che il mio obiettivo non è avere un deposito pieno di soldi, ma una vita piena di applausi.
Bene, cominciate a scaldarvi le mani.
Ascolta e scarica l’album “4 passi” di Ricky Pera, su tutte le principali piattaforme streaming e download:
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Spotify: https://goo.gl/uRyYxk